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La scrittrice Julie Ruocco e il progetto letterario La Madone brûlée

Julie Ruocco a Casa l'Orto - Praiano.
Nel contesto di MAP, è venuta a trovarci Julie Ruocco (she/her), scrittrice francese, autrice di Furies (2021, Actes Sud), romanzo ambientato durante la guerra civile siriana che ha ricevuto diversi prestigiosi premi, tra cui le Prix du Jury des Jeunes Romanciers, le Prix Emmanuel Roblès e selezionato dal Prix littéraire «Le Monde». Di famiglia italo-francese, nella sua scrittura combina la dimensione mitologica con l’attualità più scottante, la cultura classica e le urgenze contemporanee, per dare voce e risonanza a eventi e personaggi universali.

Durante la permanenza di due settimane in costiera amalfitana e in Campania, Julie ha lavorato al suo secondo romanzo dal titolo “La Madone brûlée” (La Madonna bruciata), un’immersione nella cultura popolare campana e napoletana, con i suoi drammi, le sue madonne, sacre e profane allo stesso tempo, attraverso il filo conduttore e narrativo del gioco della tombola.

Come in uno specchio in cui si riflettono il sole, il mare, le feste, la violenza, le messe e i fuochi d’artificio, Julie racconterà i tabù e il sincretismo della cultura mediterranea e magica del Sud Italia e di Napoli. Attraverso la scrittura, ripercorrerà la sua densità simbolica e culturale, concentrandosi sul ruolo della donna e dell’immagine della madonna, con tutte le sue ambivalenze e ambiguità. Approfondiamo la ricerca.

La Madone brûlée e la ricerca sul territorio

La permanenza e la ricerca artistica tra la città di Napoli e il territorio della costiera amalfitana hanno permesso a Julie di raccogliere le fonti necessarie per narrare una storia il cui desiderio è penetrare nell’intimo di una cultura, a partire da quelle delle famiglie, con i loro tabù e i loro segreti.

La narrazione de la Madone brûlée è profondamente ancorata e al contempo animata dalla nozione de l’hantise, quella presenza ossessionante di un pensiero, di un ricordo che, quando non si gestisce il passato, prende la forma di un tormento costante, come fosse un fantasma. E in questa idea di passato, di ricordo, di trasmissione, che la memoria assume una presenza costante al punto di distorcere il reale.

«Mio padre è nato a Napoli. Per la mia storia era importante ripercorrere il ritorno di un personaggio che nel romanzo si chiamerà Nino. Dopo quindici anni passati in Francia ritorna nel suo paese natale, vicino Napoli, per rivivere i drammi della sua infanzia, ritessendo i fili della sua storia personale e della sua iniziazione alla polvere e al lavoro come fuochista.

Alla periferia della sua storia, c’è una giovane donna che ad un certo punto del romanzo scenderà, come fosse un fantasma, lungo le scale della fontana della piazza del paese insieme al suo cane. Mentre tutti vivono e si godono la festa, lei rimarrà lì sospesa, immobile, al centro della piazza mentre il suo cane inizierà a urlare. Sarà lei la Madonna brulée».

La tombola come alfabeto della napoletanità

Il progetto letterario de ”La Madone brûlée” trae ispirazione dalla tradizione popolare della tombola napoletana. Attraverso i numeri e i loro significati, Julie dà vita a un mondo dove s’incrociano figure religiose e classiche con personaggi più popolari e sensuali.

«Far ricorso alla tombola come struttura narrativa e alfabeto della napoletanità, mi consente di superare il canone cattolico della madonna intesa nella sua dimensione mariana, per indagare le potenti radici pagane del suo culto».

La Madone brûlée, infatti, intende ripercorrere e indagare «il non detto di una cultura che ama contrapporre la vergine alla p*ttana. Perché, alla fine, cosa definisce la verginità delle donne? Gli occhi bassi, i loro silenzi, forse il loro sangue? O l’accecamento degli uomini e la loro violenza verso tutto ciò che resiste loro? Per capirlo, bisogna svelare quel che c’è di più segreto nelle famiglie, come ciò che si nasconde all’ombra delle religioni».

Il riferimento al fuoco presente nel titolo «non è pura provocazione ma richiama un elemento onnipresente nella storia, non solo per il legame con Napoli, il Vesuvio e tutto il suo passato.

È un fuoco concepito nella sua essenza pre-socratica; è un fuoco che illumina, che permette di ridefinire i contorni e i concetti. Quando raggiunge il massimo della sua intensità, è un fuoco che brucia, fonde, unisce. Dire che la madonna è bruciata, quindi, è anche una promessa alchemica di rinnovamento e di ridefinizione degli esseri, delle forme, delle identità».

L’incontro con lə femminellə CiroCiretta

Indagando il discorso della femminilità nella sua dimensione polimorfica, siamo andatə a Torre Annunziata a trovare lə femminellə CiroCiretta Cascina, storicə, performer e profondə conoscitorə della cultura popolare campana e napoletana.

Con CiroCiretta, porto e porta tra il visibile e l’invisibile e custode della napoletanità e di tutta la sua incommensurabile ricchezza, Julie ha approfondito la storia della tombola, la cui eredità sociale e culturale è portata avanti, ancora oggi, proprio dallə femminéllə, antica figura della cultura popolare di Napoli e storicamente ancorata nel tessuto sociale della città.

Avendo in sé il maschile e il femminile, lə femminéllə sono da sempre rappresentanti di una femminilità plurale. CiroCiretta ce ne restituisce un’idea: «Nei tempi antichissimi, erano lə bambinə a estrarre il numero dal panaro della tombola perché rappresentavano la parte più pura della società; mediavano tra il sacro e il profano. Con il tempo questo compito è passato a noi femmeniéllə: avendo in noi la coesistenza dei generi, nella lettura del numero estratto non c’è interesse nel favorire il maschile o il femminile».

Inoltre, alla figura dellə femminéllə é legato il culto delle Sette Madonne, in particolare alla Madonna di Montevergine, la cosiddetta Mamma Schiavona, protettrice delle comunità queer, in un sincretismo unico tra tradizione cattolica ed eredità pagana e popolare.

CiroCiretta: «Quando arrivai giovanissima a Montevergine, fu per me uno sconvolgimento perché Montevergine è seduta sul trono, imperiosa. Io in quel momento realizzai che il sacro non può essere un concetto definitivo e non ha niente a che fare con il concetto di purezza. Niente di quello che è sacro può essere puro fino in fondo».

Il docufilm “Summer Within” e la Madonna di Montevergine

Mentre ricercavamo tra le diverse forme che la femminilità assume nella cultura napoletana e campana, ci siamo lasciatə attraversare dal canto di Partenope. Un soffio di mare e di vita che ci ha condotto verso persone, luoghi, e storie impreviste. Ed è lì che è successo un incontro bellissimo: quello con Summer Minerva (they/she). Ricercatorə indipendente, artista multidisciplinare, attorə e educatorə di origini italo-americane, Summer si occupa della ricerca relativa alla fluidità di genere nel contesto della tradizione popolare napoletana e di altre culture, vicine e lontane.

Insieme alla scrittrice francese, abbiamo assistito alla presentazione del lungometraggio autobiografico “Summer Within”, che ricerca l’appartenenza dell’artista italo-americanə indagando le sue radici meridionali; attraverso il legame con la nonna e la profonda immersione nella città di Napoli, con i suoi ritmi e rituali, Summer giunge a riconoscersi nella cultura popolare dellə femminellə, il terzo genere della Campania.

Summer: «Lə femminéllə, per me, rappresenta il mio genere – il corpo di un uomo, l’anima di una donna. Il mio percorso spirituale, il lavoro come artista e come performer e la curiosità per le tradizioni popolari del Sud Italia, mi hanno accompagnato in un percorso verso la Madonna Nera; una delle Madonne era Mamma Schiavona.

Durante il mio primo viaggio qui, però, non sapevo nulla del significato di questa Madonna Nera, in particolare per la comunità queer. Non conoscevo la sua storia, quando ha protetto due uomini omosessuali che erano stati sorpresi a fare l’amore e lasciati morire in una fredda notte d’inverno.

La Summer della mia adolescenza avrebbe trovato conforto nell’incontrare Mamma Schiavona e sapendo che nella mia cultura ancestrale, non solo è accettabile non essere né uomo né donna, onorando dei e deesse; non malgrado la mia identità di genere, ma grazie a essa. Che l’espressione di chi sono nel mondo sia sostenuta e benedetta da Mamma Schiavona».

L’incontro con O’ Capitano e Perzechella a Vico Pazzariello

Per approfondire il gioco della tombola, intesa da Julie come alfabeto della napoletanità, siamo entratə nel ventre di Napoli e, più precisamente, in Vico Pazzariello, uno spazio dove arte, teatro, musica e vita s’incontrano e confondono con gli aromi del caffè e i ritmi della tammorra.

Qui ci hanno accoltə Angelo Picone, O’ Capitano, e Giuseppina Andelora, Perzechella, creatorə di questo posto unico, da anni punto di riferimento del popolo napoletano. O’Capitano, che di mestiere fa ‘o pazzariello’, figura diffusa nella Napoli del ‘700 e dell’ ‘800 riconoscibile ancora oggi dai vestiti estrosi, spesso in alta uniforme di ispirazione borbonica, ha fatto vivere a Julie l’esperienza della tombola.

Julie: «Capitano e Perzechella sono personaggi che incarnano la napoletanità attraverso la conoscenza e la trasmissione di questa cultura che loro stessə contribuiscono a creare. A partire dal numero estratto, O’ Capitano creava una storia. La porta della loro casa/teatro era aperta e man mano che il gioco andava avanti, attorno a noi, si aggiungevano persone che capitavano lì per caso, contribuendo a costruire il filo della narrazione.

È stato bello vedere come dai numeri possano nascere tutte le storie del mondo. Quel pomeriggio in Vico Pazzariello è nata una storia collettiva creata a partire dalla creatività delle persone che passavano di lì.

Questa potrebbe essere una delle metafore più belle del fare letteratura: lasciare che una storia si intreccia sul filo del caso, dando la possibilità a ognunə di crearla, raccontando qualcosa di sé.
Il mio romanzo sarà ambientato a Napoli perché la sua generosità e densità può dar voce a situazioni e personaggi universali».

Il cimitero di Poggioreale: una porta tra visibile e invisibile

Il romanzo “La Madone brûlée” indagherà anche il rapporto così unico e peculiare che lə napoletanə hanno con la morte e con l’invisibile. Per questa ragione, siamo andatə al cimitero monumentale di Poggioreale, il più grande cimitero di Napoli e tra i più estesi d’Europa.

Julie ci racconta l’esperienza: «Vado sul posto con Imma e Roberto con l’idea di raccogliere impressioni utili al lavoro, ma molto presto ci si sente sopraffattə dalla strana monumentalità del luogo, dalle foto, dall’odore, la miriade di nomi che trasudano dal marmo, le tombe verticali, le scale per chi vuole accendere le candele, le sedie lasciate vuote nella penombra.

Passeggiare lì significa rischiare di perdersi in questo mondo capovolto dove i morti sono sepolti in alto. Scattiamo qualche foto per l’archivio. Velocemente. Perché ben presto una forma di inquietudine e di raccoglimento s’impone.

All’uscita ci si scuote, si sputa per liberarsi di questo insolito sapore in bocca.
La giornata continua nel tumulto della città, l’altra, quella dei vivi questa volta, e si crede di essersi staccati dal luogo, dalla terra capovolta. E poi guardando di nuovo le foto, si scopre il proprio cognome su una tomba. RUOCCO. 6 lettere nel marmo e la conferma che, in qualche modo, vengo da qui».

Santa Maria delle anime del Purgatorio ad Arco e a Santa Luciella ai Librai

Ricercando tra pratiche religiose e riti antichi in un sincretismo profondo tra sacro e profano, abbiamo fatto un salto alle chiese di Santa Maria delle anime del Purgatorio ad Arco e a Santa Luciella ai Librai a Napoli.
«A Napoli, i defunti non si accontentano di essere ricordati attraverso una foto indossata come collana o affissa alle pareti. Respirano dietro i vivi, camminano nei loro sogni e abitano la terra sotto il loro passo».

Siamo così entratǝ nel sottosuolo brulicante della città, fatto di teche, ex voto e ossa mai sepolte, e abbiamo approfondito il culto delle anime del Purgatorio, o anime ‘pezzentelle’, a cui ci si rivolgeva per chiedere una grazia.
Per secoli e fino agli anni ‘70, a Napoli era infatti diffusa l’usanza di adottare le cosiddette ‘capuzzelle’, teschi anonimi e abbandonati, appartenuti a persone che non avevano avuto sepoltura.

Prive di riti cristiani, queste anime erano condannate a trascorrere l’eternità tra le fiamme del Purgatorio, a meno che una persona non se ne fosse presa cura, dando loro sollievo e refrigerio, o ‘refrische’.
Una volta scelto un teschio, lo si ripuliva e lucidava, adagiandolo talvolta su un cuscino ricamato e portando in dono una moneta, un rosario, dell’alcool. Più la capuzzella era in grado di rispondere alle richieste, più la sua teca si arricchiva di fiori, ceri e beni di ogni lustro.
«Popolo che fa fiorire i teschi nei sotterranei di Napoli. Ciò che mi ha commosso è questa solidarietà popolare che trascende il confine tra vita e morte. Morti e mortali si prendono cura lə unə dellə altrə, perché la sofferenza rende tutti debitori. Ai morti grazia, ai vivi memoria.»

Visita alla Torre dello Ziro, tra Amalfi e Atrani, con la guida escursionistica Alessandro di Benedetto
Uno scatto dall'alto della Torre dello Ziro
Grazie mille Julie per averci fatto immergere nella tua interessante ricerca e grazie a CiroCiretta, a O’ Capitano e a Perzechella, a Astrid Herkens, a Cornélie Mathys, ad Alessandro Di Benedetto, ad Andrea e Luca Fortis e a Summer Minerva per averla resa possibile.